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Negli ultimi mesi, i mercati azionari globali hanno attraversato una fase di forte volatilità, alimentata dalle nuove politiche protezionistiche dell’amministrazione Trump. L’introduzione di dazi globali, in particolare contro la Cina, ha innescato una nuova ondata di tensioni commerciali, generando timori di un rallentamento economico globale. Un recente accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea ha evitato l'escalation di una nuova guerra dei dazi, ma ha comunque portato a una revisione dei rapporti commerciali transatlantici. In questo articolo, esaminiamo gli sviluppi principali e il loro impatto su aziende e mercati finanziari.
I mercati azionari sono in calo graduale da metà febbraio, ma il significativo approfondimento delle perdite si è verificato ad aprile, in seguito a una nuova ondata di dazi imposta dall’amministrazione Trump. Il 2 febbraio 2025, il presidente ha firmato l’Ordine Esecutivo 14257, imponendo un dazio globale del 10% su tutte le importazioni negli Stati Uniti, accompagnato da aumenti mirati: la Cina ha visto i propri dazi salire fino al 54%. L’ordine ha anche incluso una dichiarazione di emergenza nazionale, giustificata ai sensi dell’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA), con le nuove tariffe effettive dal 9 aprile. Questa mossa ha immediatamente innescato vendite sui mercati, con l’S&P 500 che il 3 aprile ha perso quasi il 5%.
Durante un incontro con il primo ministro israeliano Netanyahu il 6 aprile, Trump ha dichiarato che i dazi erano “l’unica occasione per ridisegnare il tavolo del commercio globale”, rilanciando un attacco verbale alla Cina e collegando le nuove misure anche alla crisi del fentanyl. Il giorno successivo, Trump ha pubblicato un ultimatum su Truth Social, minacciando un aumento ulteriore del 50% dei dazi se la Cina non avesse rimosso le proprie contromisure. Il risultato è stato un’escalation immediata: Pechino ha risposto con dazi del 34% su tutti i beni statunitensi a partire dal 10 aprile, ha introdotto restrizioni sulle esportazioni di terre rare e ha ampliato la sua lista di entità americane “inaffidabili”.
Il 9 aprile, sono ufficialmente entrate in vigore le nuove tariffe del 104% sugli scambi con la Cina. La mossa ha segnato il picco della tensione tra le due superpotenze commerciali. I media cinesi hanno risposto con una campagna di propaganda digitale mirata al pubblico occidentale, che ha contribuito a peggiorare il sentiment degli investitori globali. La Casa Bianca ha ribadito che le misure erano necessarie e “irreversibili fino a un nuovo atteggiamento da parte di Pechino”.
Tra metà e fine aprile, l’amministrazione Trump ha esteso le misure tariffarie ad altri 60 Paesi, tra cui diversi membri dell’Unione Europea, l’India, il Vietnam e il Brasile. I dazi variavano dall’11% al 50%, colpendo in modo particolare settori strategici come auto, semiconduttori, farmaceutica e acciaio. La portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt ha spiegato che si trattava di una “revisione sistemica della politica commerciale americana” e che “le regole del libero scambio avevano fallito”.
Accordo commerciale tra Stati Uniti e Europa del 27 luglio 2025
L’annuncio più importante è arrivato il 27 luglio, con un accordo commerciale preliminare tra Stati Uniti e Unione Europea. Il presidente Trump ha dichiarato che l’UE ha accettato dazi fissi del 15% su molte categorie di prodotti, tra cui auto e chimica. In cambio, l’UE si è impegnata ad acquistare energia dagli Stati Uniti per un valore di 750 miliardi di dollari e a investire altri 600 miliardi nell’industria americana. Tuttavia, l’intesa è ancora priva di fondamento legale vincolante e ha suscitato dubbi, poiché esclude settori chiave come acciaio e farmaceutica. La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha parlato di “progresso diplomatico”, ma ha evitato di confermare la portata degli impegni presi.
I mercati hanno reagito con entusiasmo iniziale alla notizia dell’accordo, ma l’euforia si è rapidamente dissolta quando gli analisti hanno notato la vaghezza degli impegni europei e l’assenza di garanzie. La forte ripresa del dollaro ha pesato ulteriormente sulle borse statunitensi, alimentando nuove vendite, soprattutto tra le società esportatrici.
Sebbene Trump abbia dichiarato di voler estendere questa politica commerciale anche a nuovi partner come l’Africa e l’America Latina, molti economisti avvertono che un simile approccio “tariff-first” rischia di ridurre la competitività globale degli Stati Uniti e di avviare una fase di frammentazione economica simile agli anni ’30.
L’accordo tra Stati Uniti e Unione Europea è stato raggiunto grazie alla pressione congiunta del presidente Trump e della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, segnando un momento cruciale nelle relazioni commerciali transatlantiche. L’intesa prevede un dazio uniforme del 15% sulla maggior parte dei beni europei esportati negli Stati Uniti, una soluzione che, pur non essendo ideale per gli esportatori europei, riesce a evitare quella che sarebbe potuta diventare una vera e propria guerra commerciale dai risvolti potenzialmente disastrosi. Fino a poco tempo fa, infatti, le probabilità di trovare un accordo erano viste come un’incognita al 50%, e senza un’intesa, tutti i prodotti europei avrebbero subito un dazio del 30% a partire dal primo agosto 2025. In questo senso, il compromesso raggiunto può essere interpretato come una scelta pragmatica per evitare lo scenario peggiore, anche se inevitabilmente comporta un peggioramento delle condizioni commerciali rispetto al passato. Senza questo accordo, l’Unione Europea avrebbe probabilmente reagito con contromisure tariffarie, alimentando così il rischio di una spirale di restrizioni simile a quella che ha caratterizzato le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina solo pochi mesi fa.
L’accordo presenta però un’impronta asimmetrica. L’UE ha accettato un dazio del 15% sulla maggior parte delle sue esportazioni verso gli Stati Uniti, ma in cambio ha ottenuto esenzioni per settori strategici che includono aeromobili e componenti, prodotti chimici selezionati, farmaci generici, attrezzature per semiconduttori, materie prime e prodotti agricoli. Tuttavia, acciaio e alluminio europei rimangono soggetti a tariffe pesanti, intorno al 50%, anche se sono in corso negoziati per stabilire soglie che possano ridurre queste tariffe. Di fatto, con dazi generali al 15% e punizioni più severe per alcuni settori, è prevedibile che il commercio tra Stati Uniti e UE subirà comunque una contrazione.
Dal punto di vista pratico, il vantaggio principale per l’Europa è rappresentato dall’evitare dazi ancora più elevati e dal mantenere un accesso prezioso al mercato statunitense, in particolare per il settore automobilistico. Fino a poche settimane fa, auto e componenti europei erano soggetti a tariffe complessive del 27,5% (2,5% di base più un 25% addizionale globale). In cambio dell’abbassamento dei dazi, l’UE si è impegnata ad aumentare significativamente gli acquisti di gas naturale liquefatto (GNL), petrolio greggio, combustibili nucleari e armamenti dagli Stati Uniti, oltre a incrementare gli investimenti nel mercato americano per diverse centinaia di miliardi di dollari. Così facendo, la maggior parte delle concessioni arriva dall’Europa, mentre gli Stati Uniti puntano a ottenere nuovi posti di lavoro, maggiori investimenti e un aumento delle esportazioni. Non va dimenticato che gli Stati Uniti rappresentano il più grande mercato di esportazione per i beni europei, e questo scambio potrebbe influenzare l’inflazione americana, seppur in misura meno marcata rispetto alle prime stime.
Come reagire ai dazi?
Le recenti tensioni commerciali tra Stati Uniti e Unione Europea, aggravate dall'introduzione di nuovi dazi, stanno creando un clima di crescente incertezza sui mercati finanziari. È comune pensare che i crolli dei mercati rappresentino opportunità, ma la situazione attuale offre anche un’occasione unica per osservare come questi eventi possano evolvere nel contesto di una potenziale crisi commerciale globale.
Sebbene storicamente i mercati azionari abbiano mostrato una tendenza al recupero nel lungo termine, è fondamentale comprendere che ogni correzione è una situazione a sé stante. Non esiste certezza su quando o come il mercato possa risollevarsi.
Nel lungo periodo, i dati storici dei mercati azionari statunitensi mostrano che, nonostante i crolli a breve termine, le azioni tendono a crescere mediamente di circa il 10% annuo. Ogni ciclo di correzione ha prima o poi trovato una forma di recupero, che può variare da pochi mesi — come nel caso della pandemia — a diversi anni, come durante la crisi finanziaria globale.
Tuttavia, è importante ricordare che investire comporta rischi e ogni decisione va presa con consapevolezza. Le fluttuazioni del mercato possono essere imprevedibili, e un investimento, anche se in apparenza promettente, può comportare perdite significative. È cruciale che ogni investitore agisca con responsabilità, considerando la propria tolleranza al rischio e cercando consigli adeguati prima di compiere scelte finanziarie.
Le recenti misure tariffarie introdotte dagli Stati Uniti hanno riacceso l'attenzione globale sul tema del protezionismo commerciale e sul potenziale impatto di lungo periodo per l'economia mondiale. In un contesto così incerto e soggetto a rapide evoluzioni politiche ed economiche, è fondamentale mantenersi informati sugli sviluppi che influenzano i mercati finanziari. L’accordo tra Stati Uniti e Unione Europea rappresenta un tentativo di stabilizzazione, ma le sue implicazioni reali saranno più chiare solo nel tempo. In ogni caso, è importante ricordare che ogni decisione di investimento dovrebbe essere preceduta da un'attenta valutazione dei rischi connessi.
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I dazi di Trump sono tariffe imposte sulle importazioni verso gli Stati Uniti con l'obiettivo di proteggere l'industria americana. Dal 2 aprile 2025, un dazio globale del 10% è stato introdotto, con aumenti specifici per la Cina fino al 54%. Queste misure hanno generato instabilità sui mercati finanziari, provocando vendite generalizzate e timori di una crisi commerciale globale.
L'accordo tra USA e UE, annunciato il 27 luglio 2025, ha previsto dazi fissi del 15% su molti beni europei e impegni da parte dell’UE a investire e acquistare energia americana. Sebbene abbia evitato una guerra commerciale completa, l’intesa è stata criticata per la sua vaghezza e per l’esclusione di settori chiave come acciaio e farmaceutica.
Le tensioni potrebbero intensificarsi se non si raggiungono accordi vincolanti. Dopo le contromisure cinesi e l’estensione dei dazi ad altri Paesi, il rischio di una frammentazione economica globale simile a quella degli anni ’30 è concreto. Gli esperti avvertono che la strategia "tariff-first" potrebbe danneggiare la competitività globale degli Stati Uniti.
Durante fasi di volatilità causate da guerre commerciali, è essenziale agire con cautela. Sebbene i mercati storicamente si siano ripresi nel lungo termine, ogni correzione ha caratteristiche uniche. Gli investitori dovrebbero valutare attentamente il proprio profilo di rischio, diversificare il portafoglio e, se necessario, consultare esperti per prendere decisioni informate.
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