Conflitto Israele-Iran: i rischi per l’economia italiana

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Conflitto Israele-Iran: i rischi per l’economia italiana

I conflitti internazionali, come quello attuale tra Israele e Iran, possono generare tensioni geopolitiche che influenzano fortemente i mercati delle materie prime e l’economia globale. Le ripercussioni si estendono oltre le aree coinvolte, impattando soprattutto i settori energetici e produttivi di molti Paesi. In questo articolo esploreremo gli effetti di questo conflitto sui prezzi di gas e petrolio, le conseguenze per le imprese italiane, in particolare le PMI, e le risposte possibili del governo per mitigare tali impatti. Inoltre, analizzeremo quali settori industriali rischiano maggiormente e come le tensioni geopolitiche possono influenzare l’inflazione e la crescita economica in Italia.

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Effetto del conflitto Israele-Iran sui mercati

L’attacco di Israele in Iran ha subito generato un’impennata nei mercati delle materie prime. Il prezzo del gas alla Borsa TTF di Amsterdam è salito del 4%, raggiungendo 37,60 euro per megawattora, mentre il petrolio WTI è aumentato dell’8%, arrivando a 73,48 dollari al barile. Il Brent, il riferimento per l’Europa, ha toccato i 74,47 dollari (+7,37%). Se questi aumenti dovessero stabilizzarsi, le imprese italiane si troverebbero a fronteggiare un incremento sostanziale dei costi di produzione, con potenziali effetti destabilizzanti sull’intero sistema produttivo. Le PMI, in particolare, sarebbero esposte a una significativa riduzione della competitività e a un’ulteriore erosione dei già scarsi margini di guadagno.

Impatto sui prezzi dell’elettricità e sulle bollette 

Secondo un report di skytg24.it, l’Italia è uno dei Paesi europei più esposti alla volatilità energetica, importando oltre il 90% del gas naturale e il 95% del petrolio consumati. L’incremento dei prezzi dell’energia ha un impatto diretto sul costo dell’elettricità, che in Italia dipende per il 40% dalla produzione a gas. Un rialzo del 10–15% del prezzo del gas potrebbe far salire il costo dell’elettricità da 120–150 euro/MWh a 140–180 euro/MWh. Questo aggravio rischia di tradursi in bollette più care per le aziende, in particolare per quelle manifatturiere, per cui l’energia incide pesantemente sui costi operativi. Per le PMI italiane, l’aumento potrebbe variare tra il 3% e il 7%, compromettendo la sostenibilità finanziaria di migliaia di imprese.

Leggi anche il nostro articolo “Conflitto Israele Palestina: cosa succede ai mercati finanziari globali?

Quali settori industriali italiani rischiano di più

Secondo l’analisi del Centro studi di Unimpresa, l’impatto dei rincari energetici non sarà omogeneo: alcuni comparti sono strutturalmente più vulnerabili. I settori più energivori, come trasporti, logistica, industria pesante, manifatturiero, chimica e agroalimentare, subiranno le conseguenze più gravi. Nei settori ceramico, vetrario e siderurgico, l’incremento dei costi energetici potrebbe raggiungere il 20%, minando la competitività sui mercati esteri. Queste filiere potrebbero essere costrette a trasferire i rincari ai consumatori finali, contribuendo a una nuova fiammata inflattiva in Italia.

Il settore dei trasporti, fondamentale per l’economia italiana e per l’export, è tra i più colpiti. Il rincaro del petrolio si riflette in un aumento immediato dei prezzi alla pompa: diesel e benzina potrebbero salire di 10–15 centesimi al litro. Per un’impresa di autotrasporti con una flotta di 50 mezzi, questo significherebbe un aggravio annuale tra i 200.000 e i 300.000 euro. La conseguenza? Tariffe di trasporto più elevate o margini compressi, con impatti a catena su logistica, distribuzione e prezzi al consumo. Anche la logistica marittima e aerea subisce rincari nei costi di spedizione tra il 5% e il 10%, colpendo duramente le filiere internazionali.

Nel 2024, il prezzo medio del gas si è attestato attorno ai 35 euro per megawattora. Un aumento del 20%, stimato in caso di tensioni geopolitiche prolungate, porterebbe il costo a 42 euro/MWh. Applicato al fabbisogno industriale italiano, pari a circa 15 miliardi di metri cubi l’anno, l’impatto economico ammonterebbe a 10,5 miliardi di euro. Di questi, oltre 6 miliardi graverebbero direttamente sulle PMI, che assorbono circa il 60% dell’energia industriale. A questa somma si aggiungono circa 5 miliardi di euro derivanti dall’aumento del petrolio, con effetti particolarmente critici su trasporti, agricoltura e industria alimentare.

L’aumento dei costi energetici rischia di trasferirsi rapidamente sui prezzi finali al consumo, generando una nuova impennata dell’inflazione. Secondo Unimpresa, il rincaro dei prezzi energetici potrebbe tradursi in un aumento dell’inflazione tra lo 0,3% e lo 0,5%, con un impatto diretto sul potere d’acquisto delle famiglie italiane. Questo scenario aggraverebbe la già debole crescita economica prevista per il 2025, rallentando ulteriormente i consumi interni. Famiglie con bilanci già provati da anni di crisi rischiano ora di subire un ulteriore peggioramento delle proprie condizioni economiche.

Risposta del governo italiano

Nonostante la gravità dello scenario, esistono strumenti per contenere gli effetti più acuti della crisi. L’Italia ha compiuto progressi nella diversificazione energetica, aumentando le forniture di gas naturale liquefatto (GNL) da Qatar e Stati Uniti, e rafforzando i flussi dai gasdotti come il TAP. Le riserve strategiche, attualmente riempite al 90%, rappresentano un cuscinetto utile per assorbire shock temporanei. Inoltre, il governo potrebbe nuovamente ricorrere a sgravi fiscali, tetti ai prezzi o bonus bollette, come già fatto nel 2022. Tuttavia, queste misure temporanee graverebbero ulteriormente sul debito pubblico.

Cosa dovrebbero monitorare gli investitori italiani?

L’aumento strutturale dei prezzi energetici rappresenta una minaccia per l’economia globale, aggravando le difficoltà delle catene di approvvigionamento già colpite da pandemia e conflitti. Le banche centrali devono ora bilanciare il controllo dell’inflazione con il sostegno alla crescita. Anche se la crisi potrebbe accelerare la transizione alle energie rinnovabili, nel breve termine gli effetti positivi restano marginali.

I mercati al momento ipotizzano un conflitto limitato tra Israele e Iran, ma il rischio di escalation resta alto. Secondo Giuseppe Spadafora di Unimpresa, ogni tensione nel Golfo può generare rincari pericolosi per l’economia europea. Per affrontare questi rischi, è necessario un maggiore coordinamento a livello UE in materia di sicurezza energetica.

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Conclusioni

La crisi Israele-Iran mette in luce la fragilità energetica dell’Italia, con le PMI più esposte agli aumenti dei costi. Serve un mix di misure strutturali e interventi urgenti per contenere l’inflazione e sostenere la competitività. Un maggior coordinamento europeo sarà fondamentale per garantire sicurezza e stabilità economica.

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